Articolo uscito su Quasicultura.
Sembrano ormai conclusi i tempi del romanzo come strumento di indagine e civilizzazione. Il romanzo contemporaneo è immobile e, come tale, non compie più alcun tipo di rivoluzione linguistica.
Nella narrativa la questione della lingua rivela, infatti, una sconfortante omogeneizzazione stilistica. Se non altro su una cosa siamo tutti d’accordo: l’italiano letterario è ormai un ricordo lontano.
La lingua letteraria è sempre più povera, congelata, standardizzata. Come sostiene Luigi Matt, “è evidente il diffondersi di un atteggiamento di grande sospetto verso qualsiasi ricorso ad un minimo di complessità di pensiero e di espressione, che viene bollata come attitudine da intellettuali (accusa considerata tra le più gravi)”. La narrativa contemporanea è fatta principalmente di opere di largo consumo, in cui risulta evidente la scarsa cura stilistica che, il più delle volte, nasconde una incapacità di mettere sulla pagina una prosa di qualità.
Sebbene questa sia la tendenza predominante, se si analizzano i testi pubblicati, è possibile riscontrare scelte variegate.
Immagine da Focus.it |
Lo stile semplice
La modalità preferita dagli scrittori di oggi sembra rifarsi – più o meno lontanamente – a quella dei narratori novecenteschi che abbandonarono a poco a poco l’elemento antico, sentito come un ostacolo alla adeguata rappresentazione del mondo coevo.
La generale propensione alla medietà linguistica tra accorgimenti ricercati e soluzioni informali andrebbe, in realtà, analizzata più a fondo per scoprire una pluralità di tendenze e motivazioni alla base di una simile scelta non sperimentale. Esistono, infatti, narratori che intendono spostare il focus sulla storia da raccontare più che sul modo di raccontarla; si tratta, spesso, di autori dall’elevato potenziale commerciale che si rivolgono a lettori con scarse pretese letterarie.
Al contrario, utilizzare un linguaggio medio può essere il frutto di una scelta ponderata: attingendo a elementi letterari così come a espedienti colloquiali, il risultato è armonia e scorrevolezza, di certo non mediocrità.
Pro o contro la tradizione?
È chiaro che accanto alla tendenza predominante corrano altri orientamenti, sebbene poco approvati dal lettore medio e, dunque, dal mondo editoriale: il richiamo alla tradizione è uno di questi, basato sul rifiuto della contemporaneità e sulla creazione di uno stile “poetico” non sempre chiaro e icastico; al polo opposto si colloca il rifiuto di modelli passatisti, una scelta che tende a sfruttare le infinite potenzialità del parlato, seppur con cautela e senza quelle esasperazioni – tipiche del principiante – che rischiano di far crollare lo stile nella rozzezza.
Com’è evidente, si tratta di fenomeni sporadici all’interno del calderone della nuova narrativa e, per questo, guardati con diffidenza.
Il dialetto
Un posto a parte occupa il dialetto.
Negli ultimi decenni il dialetto è stato reintrodotto nella scrittura narrativa a svolgere l’importante funzione espressiva; emerge, oggi, una nostalgia per un mondo rurale che non si vergogna più di se stesso, tanto che la tipicità regionale non è più un identificativo di inferiorità socio-culturale ma un segno di familiarità, affettività, radici. Il nuovo dialetto, così potremmo definirlo, non è più un antagonista dell’italiano ma un suo complemento vitale.
La lingua della narrativa contemporanea è, dunque, una lingua senza canone; ma non potrebbe essere altrimenti, soggetta com’è a variazioni di gusto che rendono impraticabile un’ipotesi di definizione; una lingua che, specchio della realtà, non oltrepassa gli orizzonti di attesa, ma si limita a confermarli.
Eleonora Marchetti